OLPC, tra amarezza e delusioni. Cosa resta dopo 8 anni?A distanza di otto anni dalla sua nascita cosa resta dello spirito pionieristico di OLPC, l'organizzazione non-profit fondata per portare la tecnologia a bassissimo costo ai bambini delle nazioni in via di sviluppo? Sull'argomento si interroga con una certa amarezza la stessa community dietro al progetto, sul quale tira un triste vento di smobilitazione.


E' triste leggere articoli come quello apparso sulle pagine di OLPC News, voce ufficiale della community di utilizzatori dei device OLPC. Triste perché è una riflessione sul destino di uno dei progetti più ambiziosi e "umanitari" degli ultimi anni in ambito high-tech. Il sogno di Nicholas Negroponte era quello di abbattere qualsiasi divide, digitale e non, per l'accesso alla Rete e ai prodotti tecnologici nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto per la possibilità di fornire un miglioramento a livello formativo a tutti i bambini nati in alcune delle nazioni più svantaggiate della Terra, offrendo loro un piccolo portatile economico.

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A otto anni dalla sua nascita però l'aria che si respira è quella dello smantellamento, lento ma inesorabile, la fine del sogno. Fondata nel 2005, prima ancora che i netbook vedessero per la prima volta la luce del mercato, One Laptop Per Child, questo il significato dell'acronimo OLPC, si propose di realizzare un piccolo portatile, economico e compatto, adatto ai bambini di India, Africa e Sud America. L'obiettivo era contenere i costi entro i 100 dollari affinché i governi di quei Paesi fossero in grado di acquistarne grossi quantitativi da destinare alle proprie scuole.

L'iniziativa ha anche funzionato per qualche tempo ma già come documentammo lo scorso anno, i nuovi XO erano ormai molto lontani dalle intenzioni iniziali, lontani grossomodo il doppio, costando circa 200 dollari, così come era già lontano lo stesso Negroponte, spostatosi da alcuni anni su un altro progetto. OLPC News, ieri, ha dato notizia che la sede storica di Boston ha chiuso i battenti per sempre. Resta attiva la divisione OLPC di Miami, che si occupa della distribuzione degli XO in Uruguay, Perù e Rwanda e resta in piedi l'attività di Sakar/Vivitar, azienda che ha rilevato i diritti commerciali per lo sfruttamento del marchio XO Tablet negli USA, ma la sensazione è che ormai da mesi l’entusiasmo iniziale abbia lasciato il posto alla delusione.

Del resto gli ultimi XO, disponibili anche in Italia, hanno ormai solo il nome in comune con l’idea originaria, trattandosi di normali tablet per bambini, come ce ne sono tanti. Rintracciare e comprendere l'origine di questo arresto è un'operazione complessa, che potrebbe rivelarsi d'altronde anche un esercizio sterile. Che sia stata colpa delle scelte riguardanti l'hardware, di Sugar OS o della natura stessa dell'iniziativa, forse sin dall'inizio tanto generosa quanto inconcludente, ha infatti poca importanza di fronte alla constatazione del fallimento di un progetto idealmente molto bello.

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